Dopo una notte insonne passata in divisa, nel centralino della Pubblica, tutti ammassati ad aspettare dalla Centrale Operativa 118 telefonate che – per fortuna – non sono arrivate, e ad ascoltare con incredulità e apprensione la cronaca del cataclisma che si stava abbattendo su Parma e sul Raduno Nazionale degli Alpini, ricostruita attraverso le comunicazioni radio dei nostri colleghi delle associazioni cittadine; dopo una mattina passata a lavorare nella vigna (no, non quella di Benedetto XVI, quella non penso che si ammali di peronospera!) e a tagliar l’erba; dopo un pomeriggio passato a metà tra il letto (a tentare di recuperare ore ed ore di sonno perduto) e il computer (per finire la configurazione di Linux: a proposito, questo è il primo post che scrivo da Mozilla Firefox sotto Linux, Fedora Core 3 per l’esattezza, e infatti mi s’è già piantato una volta, e ho dovuto ricominciare a scrivere tutto; ma stavolta non mi sono fatto scoraggiare!); dopo una giornata del genere, troppo stanco per pensare di poter partecipare a qualunque forma di vita sociale, ho deciso di dedicare la serata alla visione di un film.
La scelta è caduta su un film che non vedevo da troppo tempo: Philadelphia, di Jonathan Demme.
Nella lingua italiana esistono migliaia, forse milioni di vocaboli che potrei scegliere per descrivere questo film, tuttavia sono assolutamente sicuro che ogni singola parola sarebbe di troppo, ogni singolo aggettivo sarebbe assolutamente superfluo, perché inadeguato e parziale per un film così straordinario e toccante. Ecco, alla fine ne ho scelti due, di aggettivi, ma la tentazione è quella di prolungare la serie all’infinito, conscio però del fatto che si tratterebbe di uno sforzo quantomai vano.
Per chi non conoscesse il film, solo un accenno alla trama. Andrew Beckett (Tom Hanks) è un giovane e brillante avvocato di Philadelphia, ma viene licenziato dall’importante studio legale per il quale lavora perché malato di AIDS. Trova con grande difficoltà un avvocato, Joe Miller (Denzel Washington), che lo rappresenti nella causa che desidera intentare contro il suo ex datore di lavoro, convinto di aver subito una discriminazione ingiusta e crudele. Il processo porta alla luce una serie di pregiudizi legati al fatto che Andrew è omosessuale (convive con Miguel, interpretato da Antonio Banderas), e per di più malato.
Non dirò altro sulla trama, né sulla vicenda, perché ritengo che quel film valga assolutamente la pena di essere visto. Tuttavia vorrei approfondire uno spunto che, in realtà, più che uno spunto è una delle colonne portanti su cui si basa il messaggio dell’opera.
Tra i testimoni chiamati durante lo svolgersi del processo vi è anche una ex collega di Andrew, anch’essa malata di AIDS. Questa donna, però, ha contratto la malattia in modo incolpevole, durante una trasfusione di sangue, necessaria dopo il parto del suo terzo figlio. La donna esprime tutta la sua solidarietà ad Andrew, tuttavia gli avvocati della parte avversa, e gli stessi "imputati", tenteranno per tutto il tempo di mettere in risalto il fatto che Andrew ha contratto la malattia in modo colpevole, da un rapporto sessuale non protetto consumato in un cinema porno gay. Andrew, secondo l’avvocato difensore del suo ex datore di lavoro, sta morendo. Ha contratto una malattia mortale a causa della sua condotta irresponsabile e colpevole, e a causa di questa condotta ha abbreviato la propria vita.
Ora, penso di dover fare una piccola parentesi storica. Il film è del 1993, ed è ambientato più o meno nello stesso periodo. Andrew Beckett ha contratto la malattia nel 1984, quando ancora l’AIDS era un fantasma, uno spauracchio del quale molti parlavano, ma sul quale regnava la più assoluta ignoranza. La gente comune non aveva le idee chiare su come essa si trasmettesse, né sulle misure preventive da mettere in atto. In questo senso, nessuno potrebbe mai dire che Andrew sia colpevole per aver contratto la malattia.
Oggi, certamente, le cose sono molto diverse. Oggi l’educazione sessuale viene fatta nelle scuole, addirittura alle elementari. Oggi l’informazione è molto più diffusa.
Ma anche oggi esiste l’ignoranza, ed è a causa di questa ignoranza che l’AIDS continua a mietere vittime.
Ma non si tratta solo di ignoranza, a volte: pensate che esistono comunità di persone, detti barebackers, che si ostinano a non voler usare profilattici durante i rapporti sessuali, incuranti del rischio al quale espongono se stessi e gli altri. Queste persone sanno benissimo quali possono essere le conseguenze del loro agire, eppure ciò non li frena, anzi, li eccita ancora di più. Come il gioco della roulette russa. Su queste persone il mio discorso potrebbe essere molto diverso: io non riesco a non considerare, almeno in parte, colpevoli queste persone.
Ma, in ogni caso, qui subentra un altro tema: il legame tra la colpevolezza e la pena. Una persona che si esponga volontariamente al contagio, per il puro gusto di sfidare il pericolo, è, a parer mio, anche pienamente colpevole della propria malattia, tuttavia la sua pena è già insita nella malattia stessa, e la società non si può in alcun modo permettere di condannare queste persone, di allontanarle ed emarginarle, ma deve tentare di comprenderle e recuperarle. E, soprattutto, il dovere di ogni società civile è quello di promuovere un modo di pensare e di agire che rispetti la propria persona e le persone con le quali si entra in contatto. Non bisogna fare repressione, bisogna fare prevenzione. Bisogna educare, non uccidere.
Il concetto di colpa espresso nel film è strettamente legato al concetto di colpa espresso nei confronti di una persona omosessuale. In un punto del film, l’ex datore di lavoro di Andrew urla al suo ex dipendente e al suo avvocato di andarsi a leggere la Bibbia, sia l’antico che il nuovo testamento. In questa frase è implicita la secca condanna all’omosessualità di Andrew, dal punto di vista etico e morale.
Visto che questa opinione è, purtroppo, ancora molto diffusa nella società moderna, vorrei fare alcune precisazioni.
Punto primo: nel Vecchio Testamento si parla effettivamente di omosessualità. Ma solo in un caso lo si fa esplicitamente, in Levitico, 18,22: Se un uomo ha relazioni con un altro uomo, fa una cosa disgustosa e tutti e due devono essere messi a morte. Essi sono responsabili della loro morte. Vorrei però ricordarvi che il Levitico è lo stesso libro che dice di uccidere le persone che lavorano di sabato, o di sacrificare tori sull’altare del giardino, o di non mangiare crostacei o carne di maiale. Tutti i precetti contenuti in quel libro devono essere contestualizzati in un momento storico molto particolare, in cui effettivamente tali norme avrebbero potuto aiutare un popolo a sopravvivere in un territorio ostile com’era la Palestina di tremila anni fa. Oggi tutti mangiamo la carne di maiale, tutti ci facciamo scorpacciate di gamberetti. Non vedo proprio, quindi, come si potrebbe pensare di condannare due uomini che decidano di amarsi. A questo proposito, consiglio a tutti di andarsi a leggere una sorta di "barzelletta", molto azzeccata, che trovate a questa pagina: http://www.magnaromagna.it/leggende/levitico.php.
Punto secondo: in nessun passo della Bibbia si esplicita quale sia stato il peccato per il quale sarebbero state distrutte le città di Sodoma e Gomorra. La tradizione tramanda che si trattasse di due città molto lussuriose, e in particolare Sodoma sarebbe stata un covo di omosessuali. Ma, si badi bene, la Bibblia non chiarisce questo mistero, quindi questo passo non può essere preso in considerazione. Sicuramente non per condannare due persone che decidano di amarsi e rispettarsi e di condividere la propria vita.
Punto terzo: in tutto il Nuovo Testamento v’è un solo accenno all’omosessualità, e si trova in una lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani (1,20-24,26-27):
Perciò gli uomini non hanno alcun motivo di scusa: hanno conosciuto Dio, poi si sono rifiutati di adorarlo e ringraziarlo come Dio. Si sono smarriti in stupidi ragionamenti e così non hanno capito più nulla. Essi, che pretendono di essere sapienti, sono impazziti, adorano immagini dell’uomo mortale, di uccelli, di quadrupedi e di rettili, invece di adorare il Dio glorioso ed immortale. Per questo, Dio li ha abbandonati ai loro desideri… Dio li ha abbandonati lasciandoli travolgere da passioni vergognose: le loro donne hanno avuto rapporti sessuali contro natura, invece di seguire quelli naturali. Anche gli uomini, invece di avere rapporti con le donne, si sono infiammati di passione gli uni per gli altri. Uomini con uomini commettono azioni turpi, e ricevono così in loro stessi il giusto castigo per questo traviamento.
A parte il fatto che Paolo non invita ad escludere, emarginare, uccidere o castrare gli omosessuali, ma semplicemente afferma che essi ritrovano nella loro propria condizione il "giusto castigo", anche qui c’è bisogno di una precisazione sul contesto storico e sociale. Per farlo, citerò una fonte autorevole: il libro di Gabriella Lettini, Omosessualità, edito da Claudiana Editrice. Non ho letto il libro, ma ho trovato un interessantissimo excerptus a questa pagina, che vi consiglio di leggere con attenzione: http://www.viottoli.it/fedeomosessualita/documenti/appunti214.html.
Ma vediamo cosa dice la Lettini in merito alla lettera di S. Paolo:
Per capire meglio le affermazioni di Paolo, bisogna prendere in considerazione il contesto culturale greco-romano in cui prostituzione maschile e pederastìa erano molto comuni. Paolo potrebbe avere in mente questo tipo di relazioni abusive e degradanti, invece di aver avuto esperienze di relazioni durature di coppie omosessuali basate sul rispetto e sull’amore. L’esegeta nordamericano Robin Scrogg non ha dubbi in proposito: l’omosessualità a cui si oppone il Nuovo Testamento sarebbe la pederastìa, che era una pratica comune nel mondo greco-romano. Altri interpreti si interrogano sul significato di para physin, ovvero contro natura. In termini moderni, questa espressione potrebbe anche indicare un rapporto che va contro il proprio naturale orientamento sessuale. Se accettiamo che l’omosessualità è una cosa naturale, allora un rapporto contro natura potrebbe essere quello di un uomo gay che si imponga di vivere come un eterosessuale. Compiere atti contro natura potrebbe anche essere il non accettare la condizione nella quale si è stati creati, compreso l’orientamento sessuale.
Il teologo biblico statunitense William Countryman porta un interessante contributo al dibattito su questo passo, affermando che l’interpretazione corrente per cui Paolo si stia riferendo all’omosessualità usando la categoria del peccato deve essere radicalmente riveduta. Il peccato di cui Paolo sta parlando in riferimento ai pagani sarebbe l’idolatria. L’omosessualità sarebbe un aspetto sgradevole e riprovevole della cultura dei pagani, che non era di per sé peccato, ma aveva colpito la cultura pagana come punizione per la loro idolatria.
Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo si esprime duramente nei confronti di coloro che, per il loro comportamento, non entreranno nel regno di Dio: «Non illudetevi: nel regno di Dio non entreranno gli immorali, gli adoratori di idoli, gli adulteri, i maniaci sessuali, i ladri, gli invidiosi, gli ubriaconi, i calunniatori, i delinquenti». Purtroppo, molti cristiani hanno ancora nelle orecchie traduzioni del tutto inadeguate, dove il termine greco malakos (letteralmente: «molle») era reso con «effeminato», mentre molto più probabilmente riferisce a qualcuno che manca di dirittura morale. In altri passi del Nuovo Testamento, infatti, questo termine non viene mai usato con una connotazione sessuale. Similmente, parola greca arsenokoitai, composta da un termine che signifìca maschi e uno che significa letti, è stata spesso tratta con omosessualità. Ma la tradizione esatta di questa parola, presente solo un’altra volte nel Nuovo Testamento, è alquanto discutibile. Secondo John Boswell, autore di numerosi studi sull’omosessualità nella Bibbia e nella tradizione cristiana, arsenokoitai potrebbe molto probabilmente riferirsi alla prostituzione maschile, ampiamente praticata tra i pagani e che Paolo considera come cosa impura e sconveniente.
In sostanza, l’omosessualità è una tendenza naturale che riguarda gli uomini come molte specie di animali, una condizione che va accettata con serenità e consapevolezza. E’ infatti questo l’unico modo per poter vivere la propria vita senza fuggire in continuazione dai propri fantasmi.
Per oggi penso di averne scritte anche troppe, di pillole di saggezza. E che qualcuno provi pure a dire che Philadelphia è un film che non offre spunti di riflessione…