Sicuramente molti dei miei pochi lettori ricorderanno quel fantastico film che era "Pomi d’ottone e manici di scopa". Bene, ora focalizzatevi sulla splendida scena del mercatino delle pulci di Portobello Road. Portobello Road… Portobello Road…
Quante stupende ricchezze ci son!
Troverai ricordi d’ogni immaginazion
sulle bancarelle di Portobello Road…

Ora vi chiedo un altro piccolo sforzo di memoria: cercate di ricordare il poliziotto in uniforme nera ed elmetto della guardia inglese, baffi scuri e faccia un po’ paciocca, che gira con passo regolare gridando: "Oooora di chiusura! Ooora di chiusura!" e agitando un grosso campanaccio d’ottone.
Bene, di solito è così che funziona, più o meno, quando un pub, un bar, un mercato, un monumento o qualsivoglia luogo pubblico chiude: c’è qualcuno che ti invita ad uscire, e che controlla che non ci sia più nessuno, prima di staccare la luce e chiudere la porta.
Di solito, ma non sempre.
Perché oggi io e il mio moroso, di ritorno dalla visita del pianterreno dell’Istituto Valenciano di Arte Moderna (dove abbiamo scoperto l’unica artista donna al mondo con complessi edipici e l’unico artista uomo al mondo con un complesso di invidia del pene), verso l’una circa abbiamo deciso di concederci il lusso di una visita panoramica alla torre della Cattedrale. Estasiati dalla vista, ci siamo concessi una mezz’oretta di contemplazione della città sotto i nostri piedi. Carlos, che qui a Valencia ci vive da cinque anni, mi faceva da cicerone, e mi illustrava le bellezze della ormai sua (e un poco anche mia) città adottiva. A poche centinaia di metri dalla base della torre, mi ha indicato uno degli edifici più antichi della città: la chiesa di Santa Catalina. Nel tornare verso casa, trovandoci a passare proprio da quella parte, decidiamo di entrare per dare un’occhiata.
Il colpo d’occhio è notevole: si tratta di una struttura gotica, piuttosto alta, a tre navate. Un gotico un po’ oscuro, anche per via del fatto che la chiesa si trova completamente circondata da case (quasi non esiste facciata) e le finestre sono tutte molto in alto, e per di più chiuse da vetri a mosaico. L’ingresso per il quale entriamo ci porta di fianco all’altare, dove comincia l’abside semicircolare, largo come tutta la chiesa, che ha una pianta rettangolare a tre navate. Nella navata centrale stanno i banchi, con quattro o cinque fedeli in preghiera, mentre sulle navate laterali si aprono le varie cappelle, quattro per lato, forse cinque. Ci incamminiamo verso il fondo, per visitare la chiesa. Nell’ultima cappella a sinistra vediamo una piccola mostra fotografica con spiegazioni circa le opere di restauro messe in atto nei secoli passati. Incuriositi, decidiamo di entrare a vedere. Meno di cinque minuti dopo, torniamo nella navata, finiamo di guardarci attorno e decidiamo di uscire, questa volta per la porta principale. Oltrepassiamo il portoncino interno, e ci troviamo di fronte al portone di legno. Chiuso. E non si apre. Traffichiamo un po’ in cerca della maniglia, ma è completamente buio e non riusciamo a trovare nulla. Anche la luce del cellulare non ci può aiutare: c’è un grosso lucchetto che non ha l’aria di lasciarsi scassinare facilmente. E in ogni caso non abbiamo alcuna intenzione di commettere violazioni per  uscire da una chiesa.
Torniamo di nuovo nella navata e ci guardiamo attorno: non un’anima viva, tutti sono spariti, in perfetto silenzio. La chiesa non è enorme, e se qualcuno avesse parlato, si sarebbe sentito perfettamente.
Senza particolare preoccupazione, ci incamminiamo nuovamente verso la porta da cui siamo entrati, questa volta passando per la navata laterale opposta, per completare la visita. Su di essa, al posto di altrettante cappelle, si aprono due porte: sulla prima c’è un grosso cartello che annuncia corsi per fidanzati (al che ci chiediamo se non sia il caso di andare anche noi… ma poi ci mettiamo a discutere perché entrambi vorremmo metterci l’abito bianco, e quindi decidiamo di lasciar perdere), e sull’altra una scritta che parla di vocazioni e altro che non ho letto.
Raggiunto il portoncino da cui eravamo entrati, proviamo ad uscire, ma anche qui nessuna fortuna: passiamo facilmente il portoncino interno, ma quello esterno risulta chiuso, e per di piú non vi sono nè maniglie nè lucchetti. C’è un catenaccio, ma non è tirato, e la porta in ogni caso non si apre. E, ovviamente, nel metro e mezzo che separa i due portoncini non filtra un solo raggio di luce, quindi si tratta di lavorare alla cieca.
Torniamo nuovamente dentro, e cerchiamo aiuto: entriamo nella porta che annunciava corsi prematrimoniali, ma essa risulta dare su una piccola sagrestia formata da due stanze comunicanti, vuote e spoglie, e non un segno d’anima viva. Decidiamo di tentare l’altra porta, ma nemmeno lì abbiamo fortuna: troviamo solo un ufficio piuttosto grande, con una scrivania di legno e tre sedie, ma nemmeno qui possiamo trovare aiuto, più che altro perché non c’è un cane.
Disorientati e un po’ preoccupati, anche per paura di eventuali sistemi di allarme – che se da una parte ci avrebbero fatti uscire, attirando l’attenzione dei passanti, dall’altra ci avrebbero messi in forte imbarazzo – ci chiediamo se non sia il caso di chiamare la polizia o di chiedere aiuto in qualche modo.
Dopo qualche minuto d’incertezza, torniamo al portoncino esterno per studiarlo meglio. Proviamo a tirare con forza, ma nulla. Bussiamo, ma nessunmo sembra sentire. Poi Carlos si china, completamente al buio, e al tatto si accorge che la porta è tenuta chiusa da un catenaccio verticale che si pianta nel pavimento, e che per fortuna tale catenaccio non è fissato con lucchetti o chiavi: evidentemente il sagrestano lo chiude alla bell’e meglio (tanto dall’esterno non si riesce più ad aprirlo, ed esce dall’altra porta, dando la chiave. Così riusciamo ad aprire la porta, e ci accorgiamo che la strada è piena di gente, e che proprio davanti all’entrata, a un metro e mezzo da noi, c’è un banchetto che vende immagini religiose ed altre amenità simili, e il venditore non ci degna di uno sguardo. Doveva essere pure sordo per non essersi accorto di nulla prima.
Sta di fatto che, quando ci richiudiamo il portone alle spalle, il catenaccio scatta nuovamente in posizione, e la porta si riblocca come se nulla fosse.
Certo, un po’ è un peccato: sarebbe stato più divertente trovare metodi più ingegnosi per uscire dalla trappola, o magari farsi aiutare da pompieri e polizia, o ancora restare chiusi dentro fino al giorno dopo. Quantomeno sarebbe stata un’esperienza più eccitante da raccontare. Tuttavia penso che sia andata molto ma molto bene così. E consentitemi di dire che ho sempre avuto ragione a mettervi in guardia verso la Chiesa, che non vuole far altro che tenervi prigionieri, voi e i vostri cervelli!