Purtroppo mi sono reso conto solo in un secondo tempo che il mio precedente post sull’eutanasia era ben lungi dall’essere come l’avrei voluto. Mi ero seduto di fronte al PC con la voglia di scrivere qualcosa di esaustivo. Poi la voglia è scemata dalle mie dita, intanto che queste si affannavano sulla tastiera, ed è venuto fuori quello che tutti avete letto: qualche luogo comune, e ben poche spiegazioni su quel che penso.
Per cercare di rimediare al torto che vi ho fatto, vorrei spiegare cosa effettivamente penso dell’eutanasia.
Innanzi tutto, mi sembra che ci sia molta confusione su cosa effettivamente la legge olandese dica. Ho cercato di fare ricerche approfondite su internet, ma non sono riuscito a trovare il testo integrale della legge, pertanto se qualcuno di voi avesse più fortuna di me, è pregato di farmelo sapere. Tuttavia ho trovato diverse pagine che ne parlano, e che ci consentono sostanzialmente di riassumerne le caratteristiche salienti. Suggerisco a tutti la lettura di questa pagina.
Per chi invece non avesse tempo o voglia di leggerla tutta, riportiamo qui le parti principali:
Secondo la nuova legge, il medico che accompagna il paziente nel suo ultimo viaggio, deve essere assoluta­mente certo che questo abbia fatto «una scelta volontaria e ben meditata» e che di fronte a sé ha delle «sofferenze insopportabili». Il malato, dal canto suo, ha la possibilità di mettere nero su bianco in una dichiarazione, la sua intenzione di ricorrere all’eutanasia.
Uno dei punti di maggiore discussione sulla normativa è stato quello riferito ai minori. Una prima versione del testo, poi emendata, prevedeva infatti che i ragazzi di età superiore ai 12 anni potessero scegliere liberamente di ricorrere alla «dolce morte». Nel testo approvato ieri invece, la soglia è stata portata a 16 anni, mentre per i ragazzi dai 12 ai 16 anni è necessario il consenso dei genitori. A vigilare sulla corretta applicazione dell’eutanasia ci saranno poi, altra novità, delle com­missioni regionali, composte da un giurista, un medico e uno specialista di questioni etiche. Nel caso di inosser­vanza della legge, queste commissioni trasmetteranno i relativi dossier alle procure competenti che dovranno poi il via alle indagini.

La legge olandese prevede quindi che un malato terminale possa scegliere volontariamente e consapevolmente di porre fine alle proprie sofferenze. Nessuno potrà prendere questa decisione per lui, e ucciderlo senza il suo consenso. Non sono consentite nemmeno operazioni come quella fatta, all’epoca, per Terri Schiavo: ricorderete tutti che lì la decisione di staccare il sondino naso-gastrico che la nutriva non fu di Terri stessa, ormai incapace di intendere e di volere, ma del marito. Per la legge olandese questo non sarebbe possibile: in assenza di una certificazione scritta del paziente stesso che dichiari la propria volontà di morire, nessun medico potrà mai procedere con la sua eliminazione.
Molti, in questi giorni, e tra loro un ministro del Governo Italiano, hanno dimostrato la propria profonda ignoranza in materia, paragonando le leggi olandesi a quelle naziste. Vorrei invitare tutti costoro a informarsi un po’ meglio, perché la differenza tra le due leggi è abissale. Per chi fosse interessato a un bellissimo approfondimento sulla materia, consiglio questa pagina. Per i pigri, come al solito, riporto qui i passi salienti:
Se sfogliassimo un vocabolario alla ricerca del significato della parola "eutanasia" troveremmo questa definizione:
"La morte non dolorosa, ossia il porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente in vita il paziente (eutanasia passiva), o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (eutanasia attiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente"
Quando oggi discutiamo di eutanasia parliamo di un "diritto" del paziente, ci riferiamo cioËalla "eutanasia volontaria". In altri termini privilegiamo la sfera della volontà umana. Nella Germania degli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale si parlava di eutanasia in modo molto differente.
Nel 1920 apparve un libro dal titolo "L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute". Gli autori erano Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra e Karl Binding (1841-1920) un giurista.
Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Il malato incurabile, secondo i due, era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche.
Da un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e – dall’altro – sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato dunque – arbitro della distribuzione delle ricchezze – doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche.
Sin dai primi anni Venti, Adolf Hitler aveva teorizzato la necessità di proteggere la razza ariana germanica da tutti quei fattori di "corruzione" che avrebbero potuto indebolirla. Il nazismo predicava un progetto di "eugenetica" vale a dire coltivava l’idea di ottenere un miglioramento della "razza" germanica coltivando e favorendo i caratteri ereditari favorevoli ("eugenici") e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli ("disgenici"). All’interno di questo progetto di eugenetica non trovavano ovviamente posto i malati incurabili e i disabili fisici e psichici.
Queste persone erano sostanzialmente una minaccia non soltanto per l’economia tedesca ma, cosa ancor più grave, un terribile pericolo di degenerazione per la razza tedesca nel suo complesso.
Prima ancora che fosse varato ufficialmente il piano di eutanasia la Direzione Sanitaria del Reich guidata da Leonardo Conti si mise in moto per eliminare i bambini giudicati fisicamente o psichicamente disabili. Venne creata la Commissione per le malattie genetiche ed ereditarie.
La Commissione disponeva di una rete di 500 medici sparsi in tutta la Germania e l’Austria e organizzati in quei "consultori della morte" che erano i "Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza".
Il 18 agosto 1939 Conti emanava un provvedimento segreto noto con la sigla IV-B 3088/39-1079 Mi. Grazie a questa disposizione i medici dei "Centri di consulenza" dovevano essere obbligatoriamente informati dagli ospedali e dalle levatrici della nascita di bambini deformi o affetti da gravi malattie fisiche o psichiche. Una volta informati i medici convocavano i genitori e illustravano loro i grandi progressi della medicina tedesca. Ai genitori veniva detto che erano stati creati centri specializzati per la cura delle malattie dei loro figli. Veniva sottolineata la possibilità di decessi visto il carattere sperimentale delle cure ma si invitavano i genitori ad autorizzare immediatamente il ricovero anche in presenza di speranze di guarigione ridotte.
Ottenuto il consenso i bambini venivano ricoverati in cinque centri: Brandenburg, Steinhof, Eglfing, Kalmenhof e Eichberg. Qui giunti i bambini venivano uccisi con una iniezione di scopolamina o lasciati progressivamente morire di fame.

Il resto dell’articolo descrive in modo molto dettagliato – e consiglio davvero a tutti di leggerlo – come venivano effettuate queste eliminazioni e chi ne risultasse coinvolto. Roba da far accapponare la pelle. Ma quello che mi interessa notare è che le leggi naziste parlano di eutanasia di stato, che è agli antipodi dell’eutanasia volontaria. I malati sterminati da Hitler e dai criminali nazisti non avevano chiesto di morire, ma venivano trucidati aribtrariamente da una commissione medica che ne stabiliva la loro inferiorità. Uccidere un paralitico o un disadattato non è come aiutare a morire un malato terminale che chiede espressamente che le proprie sofferenze vengano alleviate!
Certo, c’è un altro punto che dovremo affrontare: la terapia del dolore. In Italia la morale cattolica imperante vede il dolore quasi come un’espiazione, qualcosa di positivo o comunque di inevitabile, e vede sotto una cattiva luce tutti quegli interventi atti a diminuire il dolore stesso, o ad eliminarlo. L’Italia è uno dei paesi in cui gli antidolorifici pesanti (come la morfina ed altri oppiacei) vengono utilizzati con più parsimonia. È radicata nella mentalità di moltissimi medici l’opinione che tali farmaci siano delle droghe, e come tali vadano evitare il più possibile. Lo Stato stesso cerca di limitarne il più possibile l’utilizzo.
Questo significa che, effettivamente, per un malato terminale ci sono ben poche speranze di condurre una vita degna di essere vissuta: tutti noi avremo avuto in casa un qualche esempio di questo, e tutti avremo visto morire un nostro caro in preda alle sofferenze più atroci. E allora, effettivamente, il primo passo da fare verso un mondo più giusto è proprio quello di aumentare l’utilizzo dei farmaci contro il dolore, per migliorare la qualità di vita di queste persone. Tuttavia esistono molti casi in cui le dosi di farmaci richieste rendono i pazienti completamente incapaci di intendere e di volere, e spesso li riducono ad uno stato di torpore che li assimila a dei vegetali, più che a degli esseri umani. Ed è a queste persone che penso, quando parlo di eutanasia: io, personalmente, voglio conservare la mia dignità umana fino all’ultimo istante, ed è per questo che rivendico la possibilità di scegliere come e quando partire, se dovessi mai trovarmi in una situazione del genere.